di Livia Giovannoli
Ero una bambina quando iniziai le mie prime lezioni di musica e di violino verso la fine degli anni ’70 con il M°Levis. Il maestro, già anziano a quei tempi, era un musicista ebreo che aveva suonato nei teatri e orchestre di tutta Italia diversi strumenti e tra un solfeggio, una lezione di violino o un dettato musicale mi raccontò insieme alla moglie, di quando durante l’ultima guerra subirono la terribile esperienza della persecuzione antisemita nazista vivendo nascosti clandestinamente nella propria città e della devastante esperienza di lei in un campo di concentramento nazista, esperienza dalla quale ne usci miracolosamente viva. Il Maestro era solito farmi ascoltare melodie della tradizione musicale ebraica tra un componimento classico e l’altro,che avrebbero costituito le basi del mio patrimonio musicale personale. Quando iniziai a studiare il violino al Conservatorio mi venne naturale cercare della musica che fosse in qualche modo legata alla tradizione ebraica o che fosse stata scritta per ricordare il terribile Olocausto. Per primo scoprii ‘Kol Nidrei‘ di Max Bruch ( 1881) Adagio op.47 per violoncello e orchestra, variazioni ispirate a melodie ebraiche risalenti al VII-VIII secolo.
Ma se era stato fin troppo facile abbandonarsi al malinconico e struggente lirismo tardo-romantico di Max Bruch, ben altro impatto ebbe per me ascoltare “Un sopravvissuto di Varsavia” di Arnold Schönberg (1947), quello che da più parti verrà considerato un monumento alla Shoah: “A Survivor from Warsaw”, op. 46, oratorio per voce recitante, coro maschile e orchestra.
In sette minuti, Schönberg condensa orrore, disperazione, incubo, dolore, paura, quegli stessi sentimenti che avevano provato i 450.000 ebrei concentrati nel Ghetto di Varsavia che tra il 1940 ed il 1943 erano stati sistematicamente decimati. Schönberg, ascoltato personalmente il racconto di uno dei pochi scampati dall’eccidio continuato perpetrato dai tedeschi a Varsavia, decide di mettere in musica il breve racconto. Sceglie la forma dell’oratorio, se pur brevissimo, con una voce recitante (il narratore), un coro maschile che impersona i condannati e una nutrita orchestra. La tecnica di composizione è quella della Dodecafonia, da lui stesso messa a punto, che si basa sull’uso dei dodici suoni della scala cromatica in diverse forme e simmetrie e che si adatta molto bene a descrivere il senso di terrore ed estraniamento che traspare dal racconto. Milan Kundera [scrittore, saggista, poeta e drammaturgo ceco naturalizzato francese] ha scritto che “…si tratta del più grande monumento che la musica abbia mai dedicato all’Olocausto“. E che “…tutta l’essenza esistenziale del dramma degli Ebrei del XX secolo è in quest’opera viva e presente. In tutta la sua atroce grandezza. In tutta la sua bellezza atroce. Ci si batte perché degli assassini non vengano dimenticati. E Schönberg, lo abbiamo dimenticato” .
(da Repubblica del 23 ottobre 2007)
Qualche anno dopo scoprii con entusiasmo la musica Klezmer, e iniziai a compiere un personale itinerario nel mondo della musica est europea del XX secolo tra identità ebraica, tradizione e modernità. Una musica insieme euforica e malinconica dove violini, fisarmoniche , violoncelli e clarinetti si rincorrono alterandosi in momenti di struggente malinconia a danze piene di brio. A farsene interprete fu uno dei più famosi musicisti dell’epoca, il galiziano Leopold Kozłowski, ultimo discendente di un’antica famiglia di musicisti ebrei “di strada” a cui è stato dedicato anche un documentario dall’eloquente titolo “Last Klezmer“. Il ruolo di Kozłowski nella conservazione della cultura non si limita alla sua attività di musicista e di divulgatore della musica klezmer, infatti negli anni è stato direttore del teatro ebraico di Varsavia, autore di musiche da film, collaboratore con numerosi teatri e ospite fisso di quasi tutti i festival di cultura ebraica della Polonia.
Dagli inizi degli anni 90 si manifesta però la volontà di ridare vita alle atmosfere dei tempi che furono e fioriscono numerosi i gruppi di musicisti che suonano musica klezmer unendo la tradizione e l’innovazione con risultati più che interessanti. Il gruppo più’ significativo di questa musica e’ rappresentato dai Kroke, gruppo attivo dal 1992 e messo insieme dalla volontà di alcuni ex-allievi del conservatorio di Cracovia. I Kroke suonano una musica molto ricca e strumentale che predilige i ritmi lenti, malinconici e nostalgici con la volontà di sperimentare e lavorare sulla tradizione klezmer per creare nuove sonorità in un esercizio di gusto jazzistico.
Negli stessi anni e oramai sempre più spesso il cinema coniuga la musica per rafforzare immagini spaventose e amplificarne l’impatto emotivo. John Williams uno dei più famosi compositori americani contemporanei scrive la colonna sonora di ‘Schindler’ list‘ di Steven Spilberg nel 1994. Quest’album (assieme al film) è considerato uno dei capolavori della storia del cinema e della musica per film.
J.Williams è stato il primo compositore di musiche da film a coniugare, nei concerti dal vivo, immagine e musica. Infatti, Williams ha caratterizzato i suoi concerti inserendo degli omaggi e dei brani medley dirigendo l’orchestra in sincrono con un montaggio video proiettato in diretta. Nella colonna sonora di ‘Schindler’s list‘ si avvale del più’ famoso violinista (ebreo) vivente: Itzhak Perlman che,come nessun altro, riesce con il suo violino a far provare a chi ascolta lo struggente dolore di un popolo straziato.
Per concludere questo viaggio attorno alla musica legata alla cultura ebraica vi suggerisco di guardare ed ascoltare un film divertentemente profondo –”Un treno per vivere“ (Train de vie) è un film del 1998 diretto da Radu Mihăileanu, che tratta in maniera ironica la Shoah. Rallegrato da una sapiente colonna sonora firmata dal compositore serbo-croato Goran Bregovic a base di arie klezmer e rom non è soltanto un film sull’Olocausto: in maniera leggera parla degli uomini e di Dio. Tra musiche trascinanti, un mix tra ritmi yiddish e gitani e situazioni paradossali, dove ci sono divise naziste che pregano la Thorà, nascono riflessioni e domande che mettono in imbarazzo tutte le religioni e le politiche inventate dall’uomo.